"Iosonouncane", Marina Di Camerota, 24 luglio 2021.


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Iosonouncane è il nome d’arte di Jacopo Incani, talentuoso e geniale musicista. Ecco le mie impressioni sul concerto tenuto a Marina di Camerota (SA) il 24 luglio 2021.

27/07/2021 | 19:53

Iosonouncane è il nome d’arte di Jacopo Incani, talentuoso e geniale musicista. Ecco le mie impressioni sul concerto tenuto a Marina di Camerota (SA) il 24 luglio 2021.

L’ultimo disco di Iosonouncane è “Ira”, un triplo album con 17 brani, in realtà per me è un unico brano di 1 ora e 55 minuti. La prima stampa è andata esaurita in pochi giorni, questo già dice tanto. 

Incani fa un triplo disco che dura 2 ore, nei tempi distopici odierni in cui gli ascolti di musica liquida durano solo pochi secondi. Lui crea brani senza titolo, senza strofa e senza ritornello, poco orecchiabili e cantati in lingue incantabili, evitando accuratamente italiano e inglese. Ti costringe a fermarti e ad ascoltare quando invece siamo già deficientizzati dal catalogo Netflix, i gruppi Whatsapp, i video Tik Tok o le notifiche IG. Non lo passano in radio, non lo chiamano in TV, non fa i podcast e nemmeno le dirette FB o IG, tuttavia i concerti sono sold out e “Ira” sta vendendo tantissimo.

Qual è il motivo?

Secondo me sta nel fatto che usa il suo genio musicale per dire la verità,  per sbattercela in faccia senza abbellimenti. Una verità scomoda che nessuno vorrebbe sentire, è più facile sollazzarsi e continuare a sonnecchiare, o per usare un linguaggio professionale, prendere Xanax prima di andare a dormire, cedere alle dipendenze comportamentali, sessuali, da sostanze o affettive oppure utilizzare mille attività distraenti piuttosto che iniziare una psicoterapia lunga.

Il concerto è stato devastante, una totale distruzione sonora, solo in un paio di occasioni ci sono stati pochi secondi per prendere fiato, solo per un attimo, poi si ricomincia, come sulle montagne russe, solo che durano 2 ore!!! 

E’ stato come se i Kraftwerk più incazzati suonassero i brani più cattivi di Aphex Twin, come se i Nirvana del 1988 suonassero “Kid A” dei Radiohead in stile VDGG come se la band punk più selvaggia suonasse “YS” del Balletto di Bronzo in stile Sonic Youth. Dietro di noi e davanti a lui, una luna gigante che ha cambiato forma e colore più volte su un mare cupo, inquietante e fermo come quello di Conrad.

In moltissimi volevano ballare e "pariare", l’alcool e le canne giravano più del caldo, qualcuno ha anche tentato una sintonia danzereccia, tutto inutile. I signorini credevano di aver portato le ragazzette imbandite e fresche come frutta e insalata a un concerto indie figo, dopo mezz’ora i maschietti si affliggevano e le sbarbine piangevano. Dopo questo concerto non si scopa e ci si lascia, altri avranno dovuto ovviare con supplementi di alcool o droga, riparare in qualche disco club di Marina di Camerota o regalare il trinity e il solitario, non basta il punto luce.

Ho visto tanti concerti estremi: death metal, black metal, bevevano il sangue, facevano i rituali satanici sul palco, tutte scemenze, roba da checche o fighetti. Iosonouncane fa sul serio, e lo fa senza farsi vedere, senza parlare, senza far cantare o ballare il pubblico, perché la sua musica non si può cantare e non si può ballare. La sua voce si erge e sovrasta in idiomi inventati, canta in francese ma non sa il francese, idem per l’arabo e lo spagnolo, l’inglese è bandito e l’italiano occasionale, questa è una dichiarazione di intenti, anti pop, anziché mainstream è "offstream".

Lui non si vede, non vuole apparire, sta al centro tra i suoi due fidati e fedeli collaboratori (Bruno Germano e Amedeo Perri) ma è avvolto in una nube, luci e ghiaccio secco, se ne vedono solo i contorni, non si percepisce il volto, trasuda umanità solo mentre ciondola chinato sulle sue diavolerie (chissà con quali synth, drum machine e campionatori armeggiano tutti e 3) o mentre si accende qualche sigaretta senza mollare però mai le mani dai synth. 

Verso la fine mi è salita la nausea, non ce la facevo più, forse anche l’orario ha influito, dato che ha iniziato quasi a mezzanotte (ho una certa età ormai), dopo mezz’ora di intro. Lo stesso intro è stato impegnativo, un frammento di “Cirrus Mirror” ha sollevato gli animi già stanchi, tutto lasciava presagire cosa sarebbe successo, ma nessuno ci voleva credere. La gente si aspettava di cantare “Stormi” (e si ma come si canta?), qualcuno esigeva un tributo a Battiato, poveri illusi, nulla di tutto questo. 

Incani ti costringe a stare lì e ad ascoltare, sembra di subirlo, ti chiedi come mai tu abbia pure pagato, come una punizione autoinflitta, ma chi ha avuto la malsana idea di invitarlo al Meeting del Mare preferendolo a Levante (o altre come lei)? 

In realtà ci vuole coraggio a guardare nel proprio abisso, qualcuno usa la “Musica Leggerissima” per evitare di farlo: “Metti un po' di musica leggera, perché ho voglia di niente (in realtà perché non c’è niente), nel silenzio assordante, per non cadere dentro al buco nero”. Dicono la stessa cosa, no future!!!  Iosonouncane ti porta nel buco nero senza chiederti il permesso e tu ci vai, non felice, non contento, ma consapevole che è necessario, si deve fare!!!

Incani ci ha portato a vedere la fine del mondo, ce l’ha fatta toccare, ci ha portato tra i boschi che bruciano nella sua Sardegna in Amazzonia e Australia, ci ha fatto vedere la devastazione ambientale globale, la scomparsa inarrestabile del polo sud, la distruzione del permafrost siberiano, le malattie pandemiche tumorali e infettive. Ma soprattutto ci fa intravedere l’inarrestabile decorso che sta prendendo la razza umana, come se ci dicesse: “Guardate, siamo fottuti ma ormai è tardi, non si può fare niente, chi ha un po’ di amore e qualche affetto si consoli con quello, il disincanto e il distacco meditativo pure funzionano, tutto il resto serve a poco, l’umanità è alla frutta”.

Sopraggiungevano suoni con armonizzazioni di quarta, ci piombavano addosso accordi di organo sovrapposti a Synth, tanti tempi composti e scomposti (un 5/8 l’ho beccato sicuro ma anche qualche 9/8), una cassa sintetica che a ogni riff anticipava di un sedicesimo mi ha mandato in trance, stile tribale, un Peter Gabriel selvaggio votato alla guerra. Piovevano tamburi elettronici da chissà dove, come acida pioggia ancestrale, tamburi provenienti dalle viscere del suono. Si alternavano poi sezioni di pura elettronica noise, ma sempre con una base melodica di bordone, un sottofondo di accordi minori o diminuiti, qualcuno ha coniato il termine Dystopic Music (io), questa è la musica della realtà, la musica della verità, il suono della fine del mondo, la sonorità della nostra esistenza misera.

Vito Lupo