La terapia non può andare oltre.



17/01/2023 | 12:56

Spesso si arriva a un certo punto in cui la terapia non può andare oltre.

Nonostante il rafforzamento delle parti sane, il miglioramento dei sintomi e delle capacità metacognitive, la risoluzione di esperienze traumatiche o vissuti dolorosi (grazie alle varie procedure esperienziali e non), l’esperienza relazionale riparativa col terapeuta, la modifica consapevole dei propri comportamenti e atteggiamenti quotidiani, la terapia non può andare oltre.

Anche se la persona riesce a differenziare quello che succede nel suo mondo interno, tra le varie parti di Sé, i propri bisogni diversi e i comportamenti degli altri, e raggiunga una sufficiente integrazione, a meno che, non si voglia diventare una sorta di asceta o di Budda sceso in terra, è necessaria una (piccola?) rivoluzione per pervenire a uno stato di benessere duraturo.

Bisogna cambiare vita.

Lo diceva già Battiato 40 anni fa, lasciare il lavoro che non ci piace, interrompere una relazione insoddisfacente, cambiare città, insomma, fare delle scelte di vita radicali. Altrimenti, anche dopo una buona terapia, nella peggiore delle ipotesi, si oscilla tra stati mentali di benessere e stati mentali di malessere, nella migliore, si rimane sempre là, forse più sereni, magari più appagati e più soddisfatti, ma mai pienamente acquietati.

In ogni caso, il destino di una terapia, e quindi: gli obiettivi raggiunti, un maggiore benessere o il soddisfacimento più completo di bisogni esistenziali, al di là delle procedure, dell’impegno della persona o dalla bravura del terapeuta, dipendono dalla qualità della relazione tra terapeuta e paziente.